Credo che sarà la velocità a portarci all’estinzione come specie. Non parlo solo dei notiziari che quotidianamente ci mostrano grovigli di lamiere sulle nostre strade. Parlo della malattia della velocità, una malaugurata religione che si è diffusa in occidente mettendo in grave pericolo i suoi affidati. Corriamo, perché pensiamo che questa sia la modalità corretta per sentirci produttivi. Corriamo, perché crediamo di essere vittima di un sistema che corre. Sempre corriamo, perché cerchiamo di anticipare gli eventi e controllare di più la nostra vita.

In fisica, la velocità indica la rapidità di moto, la direzione e il verso di un corpo in movimento. Il nostro incedere veloce spesso non è congruo con la direzione. È un muoverci scomposto, asimmetrico, aritmico, non conservativo del sistema di energie che possediamo. Facciamo cose, vediamo gente, come direbbe Nanni Moretti. Ci manca un elemento importante da considerare: perché siamo diventati ipercinetici già adulti?

Il grande movimento è caratteristico nell’infanzia, animato dalla smania di conoscenza e di confronto. Se così fosse anche per noi sarebbe splendido immaginare questa moltitudine “formicosa” che si affanna per crescere. Purtroppo, crescere è un valore poco codificato e maneggiato con difficoltà. Soprattutto non riusciamo a dare un significato univoco alla Crescita. Per lui può significare stare chiuso in un SUV nel traffico invece che sulla sua utilitaria; per l’altro parlare una lingua straniera che prima non conosceva.

Tutti di corsa, a tavola e nel tempo libero, al lavoro e a scuola. Tempus fugit d’altra parte. Ma tutte queste cose che vogliamo fare hanno un senso? Ci siamo chiesti se non ci sia riservato come specie un tempo per la contemplazione? Magari ci fa bene e può essere utile per indicarci la rotta che avremmo scelto; piuttosto che guidare un’auto con il ginocchio mentre prendiamo appunti e controlliamo nello specchietto se ci siamo fatti la barba in maniera minuziosa, potremmo cercare di esaltare al massimo il valore dell’istante non attraverso la quantità d’istanti di valore, ma attraverso la nostra adesione profonda ad un’azione piccola e solo apparentemente insignificante. È la poesia delle cose piccole, dell’intimità, dei sensi riscoperti.

È sorprendente che così tanta gente sappia cosa è un bradipo. Magari ignorano il mondo animale, ma il bradipo lo conoscono tutti. Lo hanno preso per riferimento: nessuno vuole vivere come lui, lento, anche davanti al pericolo e al cambiamento. Si arrampica lentissimo, sugli alberi che preferisce, lento e riflessivo. Sembra pieno di dubbi, ma non si sbriga a scegliere. Eppure sceglie con calma, con la parsimonia di pensiero che solo un essere molto saggio può vantare. Secondo me il bradipo è felice. Forse rischia un po’, ma conosce il suo cammino e non teme di passare di moda. D’altra parte, in milioni di anni di catastrofi geologiche, epidemie e colonizzazione umana, questo animaletto è ancora arrampicato sul suo alberello e sembra ubriaco sì, ma solo di felicità. A proposito: quando in Venezuela alcuni turisti last minute, hanno avvicinato una famiglia di bradipi per fotografarli, hanno ottenuto un documento storico per la scienza contemporanea: una bellissima immagine del capofamiglia con un unico unghiolo alzato per salutare il fotografo… il medio. Leonardo Frontani