Il sistema industriale italiano è caratterizzato dalla presenza di imprese con una governance di tipo familiare. La letteratura economica, pone l’accento da tempo, sul problema del passaggio generazionale. Questo ‘nodo strategico’, resta una delle cause principali del dissolvimento delle imprese, e in particolare delle Pmi. Gli studi in proposito, evidenziano come il tasso di mortalità sia pari al 75 percento nel passaggio dalla 1° alla 2° generazione, per arrivare anche al 90% in quello tra la 2° alla 3°. È chiaro, allora, come l’errore più frequente è quello di non pianificare il passaggio generazionale.

Tale fase dovrebbe iniziare, tra l’altro, in periodi in cui: mercato, organizzazione e risultati aziendali sono in situazione almeno di normalità. Invece, il ‘turnover’ si compie spesso in momenti di difficoltà dell’impresa dovuti a: stagnazione dei mercati di riferimento e di maggiore e aggressiva competizione. C’è da dire che in queste fasi i ‘vantaggi competitivi’ della impresa familiare (conoscenza approfondita del business di riferimento, leadership dell’imprenditore, rapidità nelle decisioni, flessibilità nei comportamenti aziendali), possono attraversare una fase di ‘involuzione’. Allora l’impresa rischia di stentare a capire i cambiamenti esterni e quindi l’esigenza di delegare i ruoli e le funzioni. Si implementano analisi strategiche e competitive senza il necessario distacco giustificando le difficoltà e le minacce più che operare per il loro superamento, con il rischio di ‘avvitarsi’ in una cultura della ineluttabilità dei destini aziendali. 

Per molti versi questa cultura è il frutto di un processo inconscio che non aiuta a riflettere con attenzione sui destini dell’impresa. Quindi, la ridotta sensibilità al cambiamento è l’elemento di rischio perché non aiuta a cogliere l’opportunità (infatti, ci sono rischi ma anche opportunità!) che anche il processo di passaggio generazionale, da minaccia, può trasformarsi in importante occasione di crescita. Gli errori che si fanno in fase di passaggio sono: credere che i figli siano capaci di gestire l’impresa, spesso non valutando che i fattori che hanno fatto il successo del passato si stanno modificando; confondere il ruolo di azionista / manager; non scegliere validi dirigenti / manager; ostinarsi a mantenere il controllo nella famiglia, rinviando l’apertura del capitale sociale a terzi investitori; strutturare un rapporto tra azionisti / soci e manager non orientato alla creazione di valore. Per quanto concerne il primo aspetto c’è da dire che spesso non si è nel caso di ‘inesistenza di eredi interni’ ma di ‘assenza di eredi interni pronti alla successione’ o, meglio ancora, di ‘eredi interni che non sono stati mai investiti ufficialmente del ruolo di successori, né strutturalmente preparati a questo compito’. Questa è la situazione nella quale il successore vive il problema della convivenza imprenditoriale più che del passaggio, e la definizione della ‘governance’ aziendale viene rinviata a scapito della competitività.

Allora, un corretto processo di successione che è spesso anche temporalmente sovrapponibile, potrebbe essere questo: pianificazione della successione da iniziare quando l’imprenditore prende coscienza che nel medio termine intende ritirarsi. Questo processo deve arrivare alla stesura di un piano di successione realizzato con l’aiuto di un team di professionisti esterni; formazione e valutazione dei candidati alla successione. Il processo si conclude in una stima precisa delle capacità e inclinazioni di ciascuno, in modo da scegliere non solo il leader, ma anche il più efficace inserimento di altri famigliari nella struttura aziendale: scelta del successore (leader); trasferimento della leadership con la progressiva sostituzione del predecessore, sia nel management che nell’azionariato; riorganizzazione aziendale. Questa fase consiste nella realizzazione di un processo di ristrutturazione societaria e organizzativa tesa a favorire non solo il processo successorio, ma anche le finalità indicate nella seconda fase, onde conseguire una innovativa cultura imprenditoriale. In caso di assenza di eredi interni, il processo sopra descritto deve necessariamente modificarsi nella fase di pianificazione, del trasferimento della leadership e della riorganizzazione aziendale. In questa fase un compito importante lo ricopriranno gli attori che circondano l’imprenditore: consulenti, commercialisti, pubbliche autorità, organizzazioni sindacali e imprenditoriali, banche. Serve in pratica una intelligente ‘cabina di regia’ che contribuisca a favorire una adeguata successione aziendale per tutelare sia il capitale di rischio che di finanziamento, oltre che il fattore lavoro. (Domenico Di Pietro per Newsbox.it)

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